Il flash è un dispositivo in grado di emettere dei lampi di luce di breve durata (viene anche chiamato in gergo lampeggiatore), lampi che possono essere sincronizzati (nella sua eccezione standard e moderna) o meno con l’otturazione della macchina fotografica.
In parole più povere, possiamo dire che il flash in fotografia si riferisce ad una luce artificiale che viene utilizzata per illuminare una scena buia e non si limita solo a questo scopo. Il flash può anche essere usato per riempire di luce le zone d’ombra e per la fotografia creativa.
Introduzione al flash
La maggior parte delle fotocamere al giorno d’oggi hanno un’unità flash incorporata e la maggior parte di queste fotocamere supportano anche l’uso di un flash esterno tramite la slitta a caldo. I flash che usiamo oggi sono tutti elettronici e si sono evoluti dalle lampadine e da altre forme di flash dei tempi passati.
La vita da fotografo qualche decennio fa non era affatto facile e i fotografi dovevano trasportare pesanti macchine fotografiche e attrezzature, diapositive, materiale di sviluppo e, naturalmente, con esposizioni notevolmente più lunghe, i fotografi non avevano altra scelta che occuparsi di accendere prodotti chimici pericolosi o altri prodotti per illuminare i loro soggetti al fine di ridurre il tempo di esposizione. I materiali più comunemente usati erano magnesio, alluminio o zirconio.
Ci furono anche esperimenti con la polvere flash (miscela di polvere di magnesio e clorato di potassio), una miscela esplosiva. E questo era pericoloso sia durante la macinazione (durante la preparazione) che durante l’utilizzo. Molti fotografi sono morti durante la preparazione o lo scatto (anzi…sparo) e molti altri hanno subito ustioni molto gravi.
La storia del flash in fotografia
Il primo modello di flash elettrico realizzato fu opera di H.F. Talbot che, nel lontano 1851 (era il 14 Giugno, per la precisione), utilizzò una scarica elettrica molto forte per fotografare un oggetto in movimento: un esperimento che tale rimase per tantissimo tempo, visto che il lampeggiatore elettronico fu perfezionato ed adottato solo cento anno dopo, circa.
Il flash, o meglio il lampo di luce in grado di rendere luminosa una scena buia, affonda le proprie radici all’inizio del 1800 (precisamente nel 1808), quando furono effettuati i primi scatti con l’ausilio dell’illuminatore a magnesio (le ricerche sul magnesio di Bunsen e Roscoe dimostrarono che questo metallo, se bruciato, poteva produrre luce con intensità elevate pari alla luce del giorno. Furono prodotti dei nastri piatti di magnesio che venivano attaccati ad un supporto mentre bruciavano). I problemi però alla base di questo tipo di illuminazione erano due: l’altissimo costo del magnesio (solo dopo il 1860 il prezzo crollerà rendendolo disponibile ai fotografi del tempo) e la sensibilità spettrale delle emulsioni fotografiche che mal si legava con l’uso di luce artificiale.
Proprio per questo motivo, furono in tanti a cercare una soluzione differente e, il 14 Giugno del 1851, H.F. Talbot ebbe l’intuizione di effettuare una fotografia di un oggetto in movimento illuminandolo con una fortissima scarica elettrica: esperimento perfettamente riuscito ma che rimase fine a se stesso. Bisognerà infatti aspettare altri 100 anni prima che questa tecnica, oggi usata da tutti, venga affinata.
Torniamo al magnesio: come scritto, questo materiale fu usato su larga scala solo dopo il 1860 causa una drastica caduta del prezzo della materia prima. Ed il pionere nell’uso del magnesio fu Edward Sonstadt. Questi dopo aver richiesto dei brevetti fondò l’azienda Manchester Magnesium insieme a Edward Mellor nel 1864. William Mather, un ingegnere, aiutò a produrre nastri di magnesio piatti che erano più efficienti nel bruciare in modo coerente. Il nastro di magnesio insieme a un supporto divenne la lampada flash in quel momento.
Nel 1887, un’alternativa al nastro di cui sopra venne messa in commercio: si trattò della polvere flash, che fu introdotta come alternativa al nastro di magnesio, ed era una miscela di polvere di magnesio e clorato di potassio. Questo fu inventato da Adolf Miethe e Johannes Gaedicke. La quantità necessaria di questa polvere veniva messa in una padella e incendiata e così produceva un lampo di luce.
All’inizio del XX secolo furono immesse sul mercato le emulsioni pancromatiche (create da Hermann Vogel nel 1873 prodotte per la prima volta nel 1906 da Wratten & Wainwright). Queste nuove emulsioni fotografiche avevano un indubbio vantaggio: erano in grado di reagire ad una scala cromatica ben più ampia di quelle disponibile nell’800 grazie all’aggiunta di alcuni coloranti nell’emulsione stessa. Preciso infatti che le prime lastre fotografiche erano sensibili solo al colore Blu mentre verde, giallo e rosso erano riportati, sulla stampa, come dei grigi più o meno scuri (nel 1882 furono create emulsioni sensibili al verde, nel 1903 all’arancione ed infine nel 1905 al rosso). Queste lastre erano inoltre molto “rapide”: per impressionarle era sufficiente un tempo di scatto di appena 1/100 di secondo.
L’arrivo delle emulsioni pancromatiche permise lo scatto di una fotografia in condizioni di luce ridotta utilizzando, appunto un illuminatore artificiale alimentato a magnesio: la polvere di magnesio veniva incendiata in modo da generare un lampo (bluastro) e quindi rischiarare la scena.
A parte l’illuminatore a magnesio “vivo”, il cui svantaggio era la produzione di fumi e di ossido di magnesio, nella seconda metà del 1800 è stato portato avanti lo studio di una soluzione più comoda, ovvero una lampada “chiusa” che potesse trattenere i residui della combustione. Fu J. Mc Clellan, nel 1893, a brevettare un bulbo di vetro (invero per la fotografia subacquea) con all’interno un filo ricoperto di magnesio. Sette anni dopo, il 14 giugno 1900, Erwin Quedenfeldt brevettò la prima vera lampada flash: in una lampada elettrica il filamento era ricoperto di magnesio ed il passaggio di elettricità nel filamento causava l’accensione (e quindi il lampo) del magnesio.
Lampadina a flash
Le prime lampadine flash conosciute negli anni 1880 erano bottiglie di ossigeno che avevano all”interno carte bianche colorate che fungevano da riflettori. I fili di magnesio venivano accesi e fatti cadere in queste bottiglie in modo che potessero continuare a bruciare intensamente. Ma questo, tuttavia, non era un metodo efficace e pratico per la fotografia.
La lampadina corretta per la fotografia fu uno sviluppo del metodo di cui sopra e vide la luce nel 1929: le lampadine erano riempite di ossigeno in cui venivano bruciati fogli di alluminio o filamenti di magnesio e questi furono prodotti commercialmente per la prima volta in Germania. Ovviamente questa soluzione era solo per un uso una tantum e le lampadine erano troppo calde da tenere dopo l’uso o a volte addirittura esplodevano, ma erano un’opzione migliore rispetto ai metodi a base di magnesio da incendiare di cui sopra.
Queste lampadine furono, negli sviluppi successivi, rivestite con pellicole di plastica per mantenere intatti i bulbi di vetro. Pellicole colorate (per lo più blu) sono stati utilizzati per ottenere il colore corretto o desiderato. Nel tempo il magnesio fu anche sostituito da Zirconio per una luce più brillante dal flash e per un tempo di “funzionamento” (ovvero il tempo in cui bruciava lo zirconio) più lungo. Di contro, richiedevano anche più tempo per raggiungere la piena luminosità. Di conseguenza, veniva usata una velocità dell’otturatore più lunga per avere il flash in sincronia. Le fotocamere con sincronizzazione del flash facevano scattare la lampadina prima di aprire l’otturatore.
Durante gli anni ’50 e ’60, la Press 25 era la lampadina più popolare e, come indica il nome, era usata dai giornalisti in una press camera o in una TLR.
Altre lampadine molto comuni durante quel periodo erano la serie M della GE, la cui più grande era la GE Mazda 75. Queste lampadine erano dotate di una base metallica, ma più tardi vennero sviluppate le lampadine interamente in vetro (AG) perché erano economiche e avevano un tempo di accensione più veloce.
Una qualche forma di lampadina è rimasta in uso fino agli anni ’80. Ci furono anche importanti scoperte e sviluppi in termini di sincronizzazione del flash, flash ad anello, flashcube, flash portatili, e via discorrendo. Exakta nel 1935 aveva la sua gamma di fotocamere con prese per il flash integrate che venivano attivate dall’otturatore.
Il 1880 fu anche il periodo in cui furono inventati gli stroboscopi (anche se c’erano versioni precedenti che risalivano a diversi decenni prima) che permettevano di catturare immagini in successione. Produceva brevi lampi di luce permettendo lo studio di oggetti in movimento, oscillanti, vibranti. Questi erano meccanici e le versioni elettroniche furono inventate negli anni 30 che portarono allo sviluppo del primo flash elettronico.
Le evoluzioni del flash
Nel frattempo cominciarono a diffondersi le prime pile a secco e questo permise di rendere il flash al magnesio un oggetto trasportabile, anche se ancora privo di sincronismo con l’otturatore della macchina fotografica.
Nel 1925, ad opera di Paul Vierkotter, avvenne la vera rivoluzione: fu brevettato l’antesignano del flash moderno (ricordate i “cubi” che si usavano alcuni anni or sono sulle analogiche?), composto da un bulbo di vetro in cui era contenuto ossigeno a bassa pressione e della polvere incendiaria a base di magnesio. Un filamento alimentato da elettricità ne provocava “l’esplosione” con conseguente rilascio di illuminazione per una frazione di secondo. Due anni dopo il magnesio venne sostituito con dei fogli di alluminio e nel 1929 venne immessa sul mercato la prima lampada commerciale basata su questo brevetto, ad opera di da Johannes Ostermeier e chiamata lampada Vakublitz.
Fu questo l’inizio della corsa agli illuminatori: nel 1930 arrivò la Sashalite, nel 1933 la Photoflux la cui caratteristica era quella di avere una macchia di colore ingrado di far capire al fotografo se il vetro era danneggiato o meno. Questo perché, prima di allora, molte lampadine letteralmente scoppiavano creando non pochi danni al fotografo.
I cubi flash
Poi vennero i cubi flash compatti che furono sviluppati negli anni ’60 da Kodak per la loro serie di fotocamere Instamatic che era un miglioramento della tecnologia delle loro precedenti fotocamere Instamatic. In seguito ai processi di cui sopra, le lampadine furono sostituite dai cubi flash, tuttavia il processo di funzionamento rimase quasi simile.
Anche i cubi flash erano pezzi monouso con quattro lampadine su ogni lato del cubo, disposte a 90 gradi l’una rispetto all’altra su quattro facce del cubo. Ogni lampadina aveva il suo riflettore in miniatura e la macchina fotografica aveva una presa per montare questi cubi (molto simile a come abbiamo una scarpa calda oggi). Questi flashcubes venivano fatti esplodere da una minuscola carica esplosiva che dava origine ad un luminoso lampo di luce.
Questo sistema è collegato al meccanismo di avanzamento della pellicola che permetteva al flash di ruotare quando la pellicola veniva fatta avanzare, portando così la lampadina successiva davanti ad ogni flash sparato. I cubi richiedevano energia elettrica per essere sparati e prendevano energia dalle batterie.
I cubi flash erano collegati alla parte superiore della macchina fotografica attraverso un albero collegato all’avanzamento della pellicola, che faceva girare il cubo del flash in una nuova posizione dopo ogni foto scattata. Questo forniva anche il collegamento elettrico per il rilascio dell’otturatore dalla batteria all’interno della macchina fotografica.
Il cubo flash aveva un collare rotante che si adattava alla presa della fotocamera e un perno di bloccaggio manteneva il cubo del flash in posizione.
Ogni lampadina in un cubo flash era riempita con un materiale combustibile come la lana di zirconio che era sigillata sotto alta pressione e la sua base aveva un tappo di innesco riempito di polvere. Quando l’otturatore veniva rilasciato, veniva azionato un piccolo martello collegato al meccanismo di rilascio dell’otturatore che colpiva la base della lampadina facendo scattare la carica nell’innesco. L’innesco percussivo a sua volta sparava una carica di flash che incendiava la miscela combustibile nella lampadina producendo un flash di altissima intensità.
Per ogni esposizione, il flash si accendeva e ruotava di 90 gradi quando la leva di avanzamento della pellicola veniva ruotata per portare una nuova lampadina. In questo modo si potevano scattare quattro immagini utilizzando un solo flashcube. Una volta completate tutte e quattro le esposizioni, il cubo doveva essere scartato e sostituito con uno nuovo.
I cubi X (o cubi magici)
I cubi furono poi sostituiti dai cubi magici negli anni ’70, chiamati anche cubi X, che erano una versione migliorata dei cubi flash ma avevano un aspetto molto simile a loro, tranne la parte della presa. Queste non richiedevano energia elettrica ma venivano sparate meccanicamente.
Il flash questo conteneva un foglio di zirconio sminuzzato. Per sparare (perché proprio di sparare parliamo), un perno nel supporto del cubo rilasciava un filo a molla nel cubo che colpiva un perno alla base della lampadina che conteneva ioni fulminati o materiale fulminante. A causa dell’attrito provocato, causavano un piccolo incendio che a sua volta accendeva lo zirconio che funzionava da flash.
Il flash può anche essere semplicemente attivato inserendo uno spillo sottile in una delle fessure sul fondo del cubo.
I cubi flash i cubi X non sono la stessa cosa, sono diversi e hanno prese diverse. I cubi flash hanno un foro di presa rotondo mentre il cubi X ha una presa quadrata sporgente leggermente più grande contrassegnata da una X.
Dopo l’introduzione di questi cubi, vari altri produttori hanno introdotto diversi tipi di flash come una barra di flash, flip flash che forniscono più flash rispetto ai soli quattro dei Cubi X e Cubi flash.
Le barre
La barra flash era un progresso dei cubi flashnegli anni ’70 e aveva circa 8 o 10 lampadine in una cartuccia che non doveva essere sostituita dopo aver sparato quattro colpi. Le lampadine erano disposte in due matrici e quando una serie o metà era esaurita, l’unità flash doveva essere capovolta per usare le lampadine rimanenti e da qui il nome.
In una barra flash, le lampadine nella cartuccia si accendono in successione dopo ogni scatto. Un interruttore termico attivava ogni lampadina in successione e l’interruttore funzionava utilizzando l’energia termica (effetto piezoelettrico) della lampadina precedentemente accesa. Il flipflash fu inizialmente prodotto dalla General Electric e più tardi altre compagnie come Polaroid, Sylvania, Philips, produssero le loro versioni.
Nota: l’effetto piezoelettrico è la capacità di certi materiali di generare elettricità quando viene applicato loro uno stress meccanico. Questo perché la compressione dovuta allo stress sposta gli ioni.
L’era moderna: il Flash elettronico
La rivoluzione finale avviene poi nella seconda metà degli anni 80 quando viene introdotto il concetto di flash TTL (trough the lens), fino a giungere, nel 2003, all’evoluzione iTTL firmata Nikon. Per maggiori informazioni circa questa tecnologia, vi rimando all’articolo L’introduzione del TTL.
Con così tante innovazioni e forme che il flash aveva preso, qualche decennio dopo l’invenzione della prima lampadina, il tubo flash elettronico fu inventato dal famoso Harold Edgerton, noto per aver congelato il tempo attraverso la sua fotografia. Grazie all’eliminazione delle esplosioni e dello smaltimento delle lampadine che erano tutte piuttosto pericolose, costose e potevano essere usate solo una volta. Questi flash elettronici potevano essere attaccati a una macchina fotografica e un tubo flash nel sistema rilasciava una luce brillante quando l’otturatore veniva rilasciato.
Edgerton usava lampadine riempite di gas come il mercurio, dove le molecole si eccitavano con l’aiuto dell’elettricità, producendo un flash luminoso di luce che durava per una piccola frazione di secondo. Un condensatore photoflash veniva utilizzato per immagazzinare una grande quantità di energia, che veniva rilasciata per alimentare la lampadina allo xeno, che forniva la luce necessaria per la fotografia flash.
Questo flash elettronico poteva essere usato più e più volte perché si ricaricava con l’aiuto di una batteria, il che era una grande cosa rispetto all’uso una tantum delle lampadine. Usando questo flash, i movimenti veloci come un proiettile potevano essere congelati e questi concetti sono ancora utilizzati nella progettazione dei flash che usiamo oggi.
Il vapore di mercurio è stato poi sostituito dallo xeno in modo che le lampade compatte potessero essere fatte e queste lampade sono ancora utilizzate nei flash oggi.
Adesso: Flash LED
Con tanti progressi nella tecnologia e nei dispositivi, negli ultimi anni gli smartphone hanno sostituito le fotocamere nella vita di molte persone. Ci sono molti fotografi che usano solo uno smartphone per la fotografia e con le varie modalità di illuminazione, le modalità della fotocamera, un flash completerebbe solo i requisiti di base di una fotocamera in un telefono.
Durante gli anni 2000, quando le fotocamere telefoniche stavano diventando popolari, il flash è stato introdotto anche nelle fotocamere telefoniche e questi erano i flash LED (anche se alcuni telefoni sono venuti con un flash allo xeno) che potrebbero rendere possibile la fotografia flash anche in una fotocamera telefonica. Questi funzionano con una tensione molto bassa e anche se non sono così potenti come i flash allo xeno, sono efficienti e possono essere utilizzati come fonte di luce quando si scattano foto e video in condizioni di scarsa luminosità utilizzando uno smartphone.
Oggi abbiamo flash elettronici molto avanzati o flashgun per l’uso in studio e in movimento quando si scatta all’aperto. I flash wireless possono essere utilizzati anche lontano dalla fotocamera e sincronizzati a distanza. Ci sono anche flash ad alta velocità che sono un grande vantaggio nel campo della fotografia. L’invenzione dei flash elettronici non ha solo aiutato i fotografi professionisti ma chiunque abbia bisogno dell’uso del flash per la fotografia.
Articolo aggiornato Maggio 2021
Bell’articolo, molto utile ed interessante, mi è stato di grande aiuto per la tesi! a presto!