Francesca Woodman è una fotografa americana, la cui figura enigmatica ed inquieta è rimasta a lungo nella memoria artistica collettiva e la cui opera è annoverata come una fra le più influenti del XX secolo. La sua parabola artistica si estende in un breve lasso di tempo (1972-1981) così come la sua vita, dando una connotazione ancora più incisiva e graffiante alla sua opera.
Fragile e tormentata come lo sono tanti artisti, schietta, creativa, ironica e provocatoria come lo sono tanti adolescenti, Francesca Woodman ha lasciato un ricordo indelebile di se stessa e della sue inquietudini nell’arte fotografica contemporanea. Proveniente da un background in cui l’apparire non è tutto e la società non si fonda sull’immagine, l’arte della Woodman si protende verso il futuro, si fa portavoce della frustrazione degli artisti che in qualche modo cercano di slegarsi dalle ripetizioni e i rimandi delle mode del passato. Lo fa divenendo lei stessa l’oggetto artistico.
Francesca Woodman ha usato se stessa come soggetto, e raramente il suo compagno e delle sue amiche. Francesca si mostra nuda, circondata da uno scenario spoglio minimalista, quasi desolato, a volte nella natura ma molto più spesso l’ambientazione è il vecchio appartamento in cui vive. Proprio nello scenario risiede la chiave per la comprensione delle sue opere: mentre il fondo e gli oggetti appaiono sempre nitidi e ben definiti, il suo corpo è mosso, sfocato oppure confuso con l’ambiente circostante, quasi assorbito ed annullato. Il nudo poi è un simbolo, una metafora del “mettere a nudo” la propria anima, una costante nelle sue fotografiche, in cui la Woodman sembra voler ritrarre i suoi dubbi, i suoi timori e la sua confusione interiore.
Il linguaggio monocromatico, le composizioni surreali, la provocazione e la malinconia, la semplicità intensa e struggente sono gli elementi principali della complessa teatralità messa in scena da Francesca che in tutti i modi cerca di mostrare la sua idea del corpo relazionato allo spazio. Francesca è parte del mondo, il mondo è parte di lei e questo legame forse in qualche modo la opprime, questa simbiosi la fa sentire sola e persa. Per farlo la Woodman si dedica in modo ossessivo e maniacale allo studio delle sue foto come affrontando un problema matematico, come una ricerca spasmodica di se stessa e dello scatto perfetto. A trent’anni di distanza, la sua arte viene presa in esame sotto l’ottica del femminismo, dell’abbattimento degli stereotipi sulla donna ma la realtà è che nessuno riesce a svelare completamente l’enigma di queste fotografie.
Francesca Woodman se n’è andata lasciando dietro di sé la sua arte come un epitaffio immortale ma portandosi dietro i suoi misteri e le sue inquietudini.
Francesca Woodman nacque il 3 aprile 1958 a Denver in una famiglia di artisti: il padre George fu un pittore abbastanza rinomato mentre la madre Betty una ceramista. Fu proprio il padre ad incoraggiare la figlia ad esprimersi attraverso la fotografia.
Francesca frequentò, insieme con suo fratello Charles, la scuola a Boulder mostrando un precoce interesse per il Daidaismo e l’arte surrealista. Nel 1971, a tredici anni, produsse il primo di tanti autoscatti entrando nel mondo della fotografia. Trascorse buona parte dell’infanzia a Firenze, in una fattoria con la famiglia, innamorandosi perdutamente dell’Italia. Amore che fu anche alla base della sua prematura morte.
Dopo una breve pausa in territorio americano, Francesca Woodman fece ritorno in Italia tra il 1975 ed il 1979, precisamente a Roma, per via di alcuni corsi della Rhode Island School of Design che lei frequentò con profitto. Studiò con particolare interesse le opere di Man Ray, Max Klinge, Duane Michals e Arthur Fellig Weegee.
In particolare, nel 1977, fece la conoscenza di Giuseppe Casetti, proprietario della libreria Maldoror, che entusiasta delle sue fotografie le propose di organizzare una mostra. Il 1978 fu un’annata particolarmente creativa per la ventenne Woodman, che espose alla Galleria Ugo Ferranti.
L’anno successivo completò gli studi alla Providance e si recò per le vacanze estive a Stanwood in compagnia del suo fidanzato ragazzo B. Moore. In questo periodo Francesca Woodman diede alla luce parecchie opere. Seguì una mostra omaggio a Proust (Woods-Gerry Gallery) e quindi il suo ritorno a New York. Francesca andò a vivere in un antico e fatiscente palazzo nel quartiere industriale Pilgrim Mills, divenuto lo scenario della maggior parte delle sue foto scattate.
Lavorò al Temple Project (1980) e passò le vacanze estive nel New Hampshire dove s’interessò particolarmente alla natura. Partecipò quindi a due mostre collettive nella Galleria newyorkese di Daniel Wolf dove ebbe modo di conoscere diversi critici e nel 1981 pubblicò la sua prima ed unica raccolta intitolata “Some disordered interior Geometries”.
Francesca Woodman, il 19 gennaio 1981, si lanciò nel vuoto da un palazzo di New York, mettendo fine alla sua breve vita. Dalla fitta corrispondenza con i suoi amici trapelò la forte nostalgia per gli anni trascorsi a Roma, la paura del tempo, il non voler dimostrare nulla con il suo triste gesto ma soltanto il voler preservare giovane, la sua arte, in eterno.
Diverse mostre postume (Wellesley College e Fondation Cartier pour l’art contemporain) e pubblicazioni (Chris Townsend) si sono tenutefra il 1986 ed il 2006.
Nel 2010 venne proiettato al Festival Internazionale del Cinema di Roma il documentario di Scott Willis The Woodmans. L’ultimo libro dedicato a Francesca Woodman lo ha pubblicato Isabella Pedicini per Contrasto Books nel 2012.
Per quanto riguarda le sue opere, potete fare riferimento alla pagina Wikipedia di Francesca Woodman sono catalogate, incluse le tantissime foto di nudo non mostrate in questo articolo.