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Home Il corso di Fotografia Gli approfondimenti

Cosa significano DPI e PPI

by Valerio Gestri
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Cosa significano DPI e PPI? Parlare di “DPI” crea sempre molta confusione, soprattutto tra coloro che si avvicinano per la prima volta alla fotografia. Vediamo quindi di capire, nel dettaglio, cosa significano DPI e PPI, quali sono le differenze salienti e a cosa servono.

Indice dei contenuti

    • 0.1 RELATED POSTS
    • 0.2 cos’è la solarizzazione
    • 0.3 La distanza iperfocale
    • 0.4 Cos’è la Coma?
  • 1 Che cosa significa la sigla DPI?
  • 2 Qual è la differenza tra DPI e PPI?
  • 3 Cosa fare se abbiamo bisogno di immagini in PPI?
  • 4 Fase di stampa: DPI e PPI
  • 5 Risoluzione della macchina digitale
  • 6 PPI: Come si calcolano?

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Cos’è la Coma?

Che cosa significa la sigla DPI?

Per DPI si intende Dots Per Inch (punti per pollice). Si noti che il DPI specifica una relazione piuttosto che un valore assoluto. È il numero di punti che si trovano in un pollice dove la parola “punto” è l’equivalente alla parola “pixel”. Il termine DPI, ad ogni modo, è decisamente più appropriato quando si parla di una stampante. Esso infatti indica i “punti di stampa”, ovvero la definizione di stampa, e stabilisce il numero di punti stampati per ogni pollice (maggiore è il valore di DPI, maggiore sarà la qualità dell’immagine stampata).

Utilizzando l’esperienza del fotografo Jeff Spirer, possiamo fare un esempio pratico per meglio definire DPI e PPI: alcuni scanner richiedono l’impostazione DPI. Il DPI conta per la scansione, perché si sta traducendo qualcosa da pollici a pixel. In questo caso è necessario impostare il DPI nella dimensione più grande possibile. Ad esempio, se volete scannerizzare una pellicola da 35mm alla massima risoluzione con uno scanner da 4000dpi (ovvero 4000 DPI), otterrete un’immagine che è di 4000 × 6000 pixel (4000 × 1″ e 4000 × 1,5″). Dopo che l’immagine è stata scansionata, l’impostazione iniziale DPI non è più importante fino al momento della stampa.

Qual è la differenza tra DPI e PPI?

Parlando di display e densità di pixel, il termine che andrebbe usato è il PPI. E sulla falsariga dei DPI, il PPI ci dice quanti pixel ci sono per ogni pollice.

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DPI e PPI

Il PPI, quindi, è il rapporto tra i pixel di un’immagine e i pollici della diagonale del monitor.

Cosa fare se abbiamo bisogno di immagini in PPI?

Fino alla stampa, che sia DPI o PPI è irrilevante. Quello che ci serve è sapere quanti pixel sono  necessari sia per la visualizzazione sullo schermo che per la stampa.

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Per la visualizzazione dello schermo, l’impostazione DPI è irrilevante. Può essere impostato su 1 o 1.000.000 e l’immagine visualizzata è esattamente la stessa. Se volete toccare con mano quanto affermato, salvate un’immagine più volte utilizzando differenti valori di DPI: vedrete che non vi sarà alcuna differenza tra i vari salvataggi.

Spesso si pensa che le immagini dello schermo debbano essere di 72ppi: questo è errato. Si tratta di un mito che bisogna sfatare e che si è generato solo a causa di impostazioni predefinite swlwl varie fotocamere in circolazione o dei software di editing: la risoluzione effettiva dello schermo non è un fattore predominante poiché stiamo comunque visualizzando il tutto in pixel.

Ma allora qual è la risoluzione delle immagini se DPI o PPI non sono rilevanti?

La risoluzione dell’immagine equivale al numero di pixel che si hanno nelle direzioni verticali e orizzontali dell’immagine.

Fase di stampa: DPI e PPI

Arriviamo ora alla parte in cui il PPI conta davvero. Molti dei driver di stampa sono in grado di realizzare autonomamente l’interpolazione delle immagini al fine di stampare alla corretta risoluzione. Ciò significa che non c’è bisogno di impostare un valore specifico di PPI ma sarà la stessa stampante a farlo in autonomia. Per una stampa fatta a casa, il valore di PPI varia tra i 240 e i 300, mentre nel caso di stampa professionale, spesso e volentieri si usa un valore superiore ai 300.

Tornando ai pixel, sembra alquanto scontato che più pixel ci sono, più l’immagine sarà definita. Ma non dimentichiamoci che abbiamo un limite: i nostri occhi. L’occhio umano, infatti, ad una distanza di circa 40 cm da un display, non riesce a scandire bene un’immagine. Volendo ragionare in termini di PPI, potremmo dire che i nostri occhi hanno una definizione che non va oltre i 270 PPI. Se ci avviciniamo di più al display, la risoluzione dei nostri occhi cresce, raggiungendo valori compresi addirittura tra i 320 e i 340. I nostri occhi non riescono a distinguere bene la definizione ed è per questo motivo che in alcuni dispositivi i pixel non sono visibili singolarmente perché la densità è davvero altissima.

Risoluzione della macchina digitale

A differenza delle macchine fotografiche analogiche, le macchine digitali hanno una risoluzione che va dal milione ai parecchi milioni di pixel. Questi numeri vengono genericamente indicati con il termine Megapixel dove, per capirci, 1 milione di pixel è l’equivalente (più o meno) di 1 Megapixel. Una risoluzione maggiore porta ad una maggiore nitidezza dell’immagine ma, durante il salvataggio, ad un minor spazio nella scheda di memoria. Per questo motivo, molti dispositivi danno la possibilità di “comprimere” le immagini, alcune senza che esse siano (completamente) alterate, al fine di liberare un po’ più di spazio. Queste compressioni dipendono appunto dalla riduzione della risoluzione in termini di “peso dell’immagine” e possono essere i JPG, TIFF, RAW o altri formati proprietari.

Il formato JPEG è un formato che fa perdere dei dati (lossy, in inglese), ovvero fa adattare un’immagine allo schermo facendo perdere diversi pixel, quindi in stampa il risultato non è perfetto. Il formato TIFF non fa perdere alcun dato ma al contrario mantiene intatte tutte le proprietà dell’immagine, ma produce file grandi che occupano molta memoria.

Infine, il formato RAW non fa perdere nessun dato e dà la possibilità di agire sull’immagine in fase di post processing modificando alcuni aspetti salienti (de facto il RAW contiene più informazioni di quelle visibili).  I file RAW tendono ad essere enormi e necessitano spesso di un programma specifico per essere letti.

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PPI: Come si calcolano?

Calcolare il valore dei PPI non è per nulla difficile, tant’è che la formula si basa sul teorema di Pitagora. Prendete uno schermo, tracciate la diagonale e misuratela in pollici. Questa diagonale è anche l’ipotenusa di due triangoli rettangoli. Dato che a noi serve sapere quanti pollici ci sono per ogni pixel della diagonale tracciata (l’ipotenusa), ci basta calcolare la radice quadrata della somma dei quadrati x e y (i due cateti, ovvero le dimensioni orizzontali  e verticali dello schermo in termini di pixel). La formula da impiegare è banalmente:

DPI e PPI

Questa formula, comunque, è valida solo per i display muniti di matrice RGB (ovvero con i 3 subpixel red, green e blue). Nel caso si display differenti (ne esistono a 2 subpixel, come nel caso di Samsung), la formula va adattata.

Tags: DPIPPIrisoluzionestampa
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Valerio Gestri

Sono un laureato in Lettere Moderne e Filologia Moderna. Ho lavorato come redattore presso l'azienda di servizi multimediali per l'istruzione E-ducation e presso Fondazione Toscana Spettacolo, l'azienda per la promozione della rete teatrale toscana (ufficio pubblicità). Appassionato di fotografia, ne sono un copywriter da svariati anni,

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